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Notizie

12 Ottobre 1999: Zeman è appena arrivato in Turchia.....ed è già stato portato in trionfo. Gli articoli dei giornali Il Messaggero e La Gazzetta dello Sport.

Cronaca || 12/10/1999

Era ovvio.......Zdenek è stato accolto e portato in trionfo...se lo merita......eccovi gli articoli successivi al suo arrivo in Turchia.



da Il Messaggero di Martedì 12 Ottobre 1999

tecnico boemo accolto in Turchia con grande calore: portato in trionfo dai tifosi del Fenerbahce
Delirio per Zeman, eroe di Istanbul


dal nostro inviato
GIANCARLO DOTTO
ISTANBUL - Due ore e mezzo di volo, le Marlboro che gli scoppiano in tasca, una tortura. Non lo fanno fumare e lui se ne sta cocciutamente assorto tutto il tempo a scrutare le nuvole, quanto basta per sapere quello che già sa, il cielo sopra Istanbul è lo stesso cielo sopra Roma. Zdenek Zeman, l’uomo Zen, sa cosa fare e cosa dire. Apre bocca all’arrivo solo per chiedere in fin di voce il più vicino portacenere, l’ultima sigaretta, prima di lasciarsi andare come un burattino stremato nelle grinfie dei suoi nuovi spasimanti.
"Zeman, noi ti amiamo". Si lascia montare e smontare. Ha appena messo piede a terra e già decine di tifosi lo impugnano sotto le ascelle per issarlo in aria, non prima di avergli messo in mano e poi strappato un fascio di stelle, i fiori gialli della speranza, e al collo la sciarpa gialloblù, i colori del Fenerbahce. "Zeman, sei tu il più grande". Un marasma di cori e flash, di giornalisti italiani che intervistano quelli turchi e viceversa ("Ma è vero che Zeman ha avuto problemi con il doping?"). Piomba un energumeno extralarge, sudato come un cinghiale, afferra il boemo e se lo piazza a cavalcioni sul collo, come si fa con le creature che il mondo lo devono vedere dall’alto. Zeman si lascia fare. Resistenza passiva. Il suo senso dell’umorismo lo tiene in vita.
L’avventura sul Bosforo del boemo triste inizia così, nell’instabilità degli abbracci forti, e prosegue meglio, nella stabilità di una firma che lo destina per otto mesi alla panchina della Juventus di Turchia, venticinque milioni di tifosi in tutto il paese e la più grande tradizione calcistica di sempre. Quattro miliardi, mezzo miliardo al mese, non sono tutto, ma aiutano a dimenticare Totti e il ponentino. La sigla alle 17, ora locale, sotto i flash dei fotografi, le telecamere e lo sguardo compiaciuto di Aziz Yildirim, il riccastro che ha messo su una fortuna con le caserme per la Nato, detto anche il Gaucci del Corno d’oro per certa sua vocazione a fare e disfare panchine. Mezz’ora più tardi e il campo, l’odore forte dell’erba, rimettono al mondo Zeman che annusa forte e inizia a perimetrare con lo sguardo e con la mente il lager dentro il quale gemeranno nei prossimi giorni i suoi nuovi, ignari, sottoposti. Il Dereagzi, l’impianto del Fenerbahce, non è Trigoria, ma ha la sua dignità. Quattro campi, una sala stampa, spogliatoi attrezzati. L’esplorazione di Zeman è pignola, chiede di conoscere i giocatori uno ad uno, assiste, un po’ perplesso, al loro allenamento vespertino. Lo scortano come ombre Celaleddin Bilgic, l’interprete, intimo del presidente, l’uomo che, con il decisivo sostegno telefonico di Ancelotti, lo ha persuaso ad accettare Istanbul, e i suoi due picciotti di sempre, Giacomo Modica e Dario Golisano, ex primavera all’epoca del Palermo. Strappati di colpo dalle famiglie di Mazara del Vallo e di Marsala e scaraventati qui, dietro le traiettorie donchisciottesche del loro indecifrabile maestro. "Un padre putativo per me - dice Modica, che si fa il segno della croce quando atterra ad Istanbul -. Ho lasciato moglie e due figli, non so dove sono, dove andrò a vivere, cosa farò e nemmeno quanto guadagnerò, ma se Zeman mi chiama vado anche sulla luna. Lui è anni luce davanti a tutti. Lui m’infonde serenità e sicurezza". Dario Golisano è il suo erede tattico, oltre la sua impressionante emanazione somatica. Biondo, segaligno, accigliato. Gli somiglia anche nel modo, tra il timido e lo sprezzante, di arricciare il labbro. Non si separa dalla sua lavagnetta con le due porte disegnate e il perimetro del campo, il suo esperanto, la sua coperta di Linus.
L’addio a Roma era cominciato venerdì sera con il concerto di Venditti ("Sì, mi sono commosso alla fine della canzone e il saluto dei tifosi"), a seguire il passaggio in Germania, per visonare i suoi turchi. Ieri in volo le ultime dediche. A Totti ("Il miglior giocatore dell’anno"), a Sensi ("Mai più frequentato"), al calcio italiano ("E’ rimasto quello di sempre"). Il cauto approccio a Istanbul ("Sarà dura, soprattutto per la lingua. Mi esprimerò in italiano e speriamo di non fare confusione") e la fine di un incubo ("Senza calcio, mi sentivo un uomo inutile"). Il suo Fenerbahce, una botte piena di chiodi ("La prima volta, in trent’anni, che accetto di allenare una squadra a campionato iniziato") e giocatori che fino a ieri giocavano a uomo e non nascondono oggi il loro disagio. Sergen, il Maradona turco, parla per tutti: "Volevamo bene a Dilmen, l’allenatore cacciato. Zeman? Non lo conosco. Certo, deve sapere che qui da noi il risultato è tutto, la pressione feroce. Il gioco? Viene molto dopo". In bocca al lupo, Zeman.




da La Gazzetta dello Sport di Martedì 12 Ottobre 1999

Zeman subito in trionfo


Valerio Piccioni
DAL NOSTRO INVIATO
ISTANBUL — Come se lo scudetto l'avesse vinto prima di cominciare. Dicono che in Turchia il benvenuto si dia così, però ieri Zdenek Zeman questa non se l'aspettava: passi per il centinaio di giornalisti della conferenza stampa, i cinquanta tra fotografi e cineoperatori che l'hanno ripreso al suo sbarco a Istanbul, però il tripudio con cori a squarciagola e gita sulle spalle dei tifosi del Fenerbahçe ha sorpreso pure lui, più imbarazzato che emozionato. È stata la prima pagina del capitolo turco della storia calcistica dell'allenatore di Praga, pagina già puntellata da una didascalia minacciosa dal titolo: pazienza. Il fatto è che qui ne hanno pochissima. Sono secondi in classifica a un punto della prima, però la vivono come una mezza tragedia, soprattutto se la coppa Uefa se n'è già andata in una serataccia contro gli ungheresi del Mtk Budapest, costata il posto al precedente allenatore, colpevole da quello che s'è capito di esser stato troppo mollaccione con i suoi giocatori.
Della storia della pazienza siamo testimoni. Un giornalista di una tivù privata, "Show", ci ha chiamato a un breve botta e risposta con un crescendo quasi insofferente. Concluso così: "Insomma, siamo ansiosi: Zeman che tipo è? Qui vogliono vincere subito, non si può aspettare". Calma ragazzi, è appena arrivato... Tutto e subito, dunque. Dove il tutto si chiama solo e soltanto risultati. Persino Sergen, il "Maradona" turco, uno che a prima vista c'è sembrato un orfano del vecchio tecnico, "l'abbiamo amato molto, anche se ora è passato", ci ha detto chiaro e tondo: "In Turchia il risultato è tutto". Anche Alpay, difensore centrale pure lui in nazionale, ha insistito sullo spartito: "I giornalisti e i tifosi hanno fatto una pressione grandissima sul vecchio allenatore e la faranno anche su Zeman: vogliono vincere subito. Ma Zeman è un duro e a me piacciono queste persone".
Il calcio si diverte a inventare queste miscele. Dunque l'apostolo del giocare bene che conta quasi quanto vincere e forse di più, è capitato nel tempio dei tre punti a qualsiasi costo. Però a Zeman le difficoltà piacciono, forse proprio per questo è qui, tra tifosi impazziti, giornalisti ansiosi e giocatori curiosi. Forse anche per questo ha detto sì a Celaleddin Bilgic. Bilgic è un uomo di affari turco che lavora in Svizzera ed è stato il regista di tutto: s'è fatto dare il numero di Zeman da Giuliano Terraneo all'Inter; ha costruito la decisiva telefonata Ancelotti-Zeman in cui il tecnico emiliano, ex promesso sposo con il Fenerbahce prima di essere stato contattato dalla Juve, gli ha detto che valeva la pena tentare; ha fatto lui la sontuosa proposta economica (4 miliardi di lire per otto mesi) di fronte alla quale l'ex allenatore della Roma non ha fatto una piega.
Zeman è sbarcato a Istanbul nel primo pomeriggio. Una sigaretta nella sala vip, quindi il bagno di folla. E via verso la sede del Fenerbahçe: molto oltre il cartello del "benvenuti in Asia", perché la squadra vive e gioca nella parte asiatica della metropoli turca. Là la firma del contratto, il rituale "sono venuto per vincere" ai giornalisti e finalmente quel buttarsi nella mischia che gli è mancato da morire in questi mesi. Dimenticavamo la sciarpa, gialla e blu, i suoi nuovi colori sociali. Come al Verona? "Al Licata". Come dire: ripassatevi il mio curriculum. Nuova sigaretta, un taccuino, ha iniziato le "consultazioni" giocatore per giocatore durante la partitella della squadra, cominciando dal portiere-capitano Rustu. Intorno i suoi due vice, Giacomo Modica e Dario Golesano, zemaniani di ferro, l'onnipresente Bilgic e l'altro interprete, Vedat, tifoso del Fenerbahce e della Juve (l'avrà detto a Zeman o rischiamo di fare la spia?). Loro in piedi, lui seduto. Perfettamente dentro la parte, con la posa di chi dice: il mio mondo è questo. A un certo punto c'è stato un passa parola e un fuggi fuggi di inservienti verso lo spogliatoio. Colpa del freddo, Zeman aveva chiesto un giaccone: Istanbul si candida a ess ere la città più fredda in cui ha finora lavorato da allenatore di calcio.
Poco prima il boemo aveva voluto sapere le misure esatte dei due campi d'allenamento: ripetute fuori stagione in vista? Il pubblico ha seguito tutto con un atteggiamento tra il solenne e il curioso: va bene che abbiamo fretta però qualche giorno, la trasferta a Trabzon è in programma per domenica, dobbiamo concederglielo... Un silenzio quasi religioso ha circondato la prima ora di lavori zemaniani. Il "quasi" è svanito quando la voce di un muezzin non lontano è risuonata in mezzo al campo, ricordando allo Zeman cattolico che qui incontrerà una religione diversa dalla sua.
L'allenamento è durato poco meno di un'ora, tempo molto poco zemaniano. Ma lo Zeman in tuta, quello dei gradoni e del 4-3-3, spettacolare e integralista, lo Zeman che avevamo lasciato qualche mese fa a Trigoria, debutterà soltanto stamattina per provare a esportare il suo linguaggio calcistico e a vincere. Anzi, a vincere per tornare. Ma questo non diciamolo troppo forte.