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1 Agosto 2000: Vecchie conoscenze del Mister ci ricordano il loro primo impatto con la cura estiva del Boemo.

Cronaca || 01/08/2000

Abbandoniamo i luoghi comuni che vogliono gli ex giocatori del Mister brindare a champagne alla notizia che il Boemo non sarà più il loro allenatore ....... sono molti di più, oseremmo dire la quasi totalità, quelli che lo rimpiangono e che sanno di dovere tanto ai suoi insegnamenti.
Leggiamo cosa dicono di lui Pavel Nedved, Damiano Tommasi, Eusebio Di Francesco e Giuseppe Signori grazie alle interviste pubblicate sulla Gazzetta dello Sport del 1 agosto 2000.



da La Gazzetta dello Sport di Martedì 1 Agosto 2000

PAVEL NEDVED
"Che choc i primi giorni con la dieta rigida"
Ma una notte il boemo fu beffato da una torta


Pavel Nedved è arrivato in Italia nell’estate del 1996. Arrivò alla Lazio proprio perché voluto da Zdenek Zeman: "A lui devo tutto — dice a chiare lettere il ventottenne centrocampista ceco —. Se oggi sono diventato un giocatore completo lo devo ai suoi insegnamenti.
"Ricordo che all’inizio io sapevo davvero poco di tattica, mi muovevo in maniera scriteriata, cercavo quasi sempre il tiro e basta. Lui si arrabbiava, ma mi spiegava tutto, perché dal punto di vista tattico è un perfezionista, una persona cui sono rimasto affezionato e che continuo a sentire". Affetto ricambiato, visto che nel 1997 Zeman lo avrebbe voluto portare alla Roma. Il centrocampista, pur inorgoglito dall’offerta, ha rinunciato: "In questa città — spiega il centrocampista ceco — ho imparato che le due parti, per un giocatore, sono incompatibili. Io ormai mi sento laziale dentro. Questo non significa che la mia stima per Zeman sia cambiata".
Dei tempi di Zeman, Nedved ricorda tutto e naturalmente anche i metodi di allenamento: "Durissimi. Io sono uno cui piace allenarsi molto, far fatica. Ma come con Zeman non avevo mai sofferto. Lui ha un suo modo di guidare una squadra, magari a volte potrebbe adattarlo, ma è fatto così e dunque va accettato, perché comunque le sue formazioni riescono a esprimere un bel calcio, spettacolare, d’attacco".
Non erano solo i carichi d’allenamento a caratterizzare i giorni di ritiro: "Di quegli anni ricordo lo choc dei primi giorni in ritiro a Frantyskovi Lazne, a pochi chilometri da casa mia a Skalna.
"Alla sera eravamo stanchissimi. In più ci teneva a dieta con i suoi wash out".
Pavel però preferisce non parlare della cognata che spesso gli portava, di nascosto, delle gustose torte che venivano divorate nel segreto di una camera dove il silenzio regnava sovrano con i compagni di squadra complici per evitare di attirare le attenzioni del sempre vigile Zeman, anche di notte.
Maurizio Nicita



EUSEBIO DI FRANCESCO E DAMIANO TOMMASI
Non solo allenatore, ma anche fine psicologo
"Bastava una parola e ci faceva correre tutti"


Due pilastri della Roma zemaniana, Di Francesco e Tommasi, parlano della preparazione del tecnico boemo e possono farlo a ragion veduta, visti i progressi fatti sotto la sua guida.
"I primi giorni era da piangere — sorride Di Francesco —, di solito si correvano dieci chilometri divisi in tre o quattro frazioni con pochi minuti di recupero l’una dall’altra, preferibilmente erano tre percorsi da 3,5 chilometri. Dopo la prima, molti erano già distrutti ma lui era inflessibile e così, stringendo i denti, tutti dovevano completare il lavoro".
"Qualcuno ogni tanto si fermava — ricorda Tommasi — ma Zeman era sempre bravo a trovare la parola giusta, a non arrabbiarsi ed a cercare un elemento positivo che stimolasse l’atleta.
E alla fine al traguardo ci arrivavano tutti. Allora la soddisfazione faceva dimenticare la fatica; ma era veramente dura, specie per chi era poco abituato ad un lavoro così nuovo e diverso".
"Noi eravamo sempre nel primo gruppo — spiega Di Francesco —. Zeman infatti divideva i giocatori in tre ed anche quattro gruppi di lavoro secondo le caratteristiche individuali ed i test fatti in precedenza".
Di Francesco e Tommasi sono giocatori che anche in campo corrono dal primo all’ultimo minuto: per loro la fatica è un’abituale compagna di viaggio. Ma come reagiva alle cure di Zeman un giocatore come Totti?
"Soffriva — racconta ancora Di Francesco — ma correva, ed anche bene. Dà l’idea di uno che magari lavora controvoglia, invece dentro ha un grande carattere e non si è mai tirato indietro, anzi alla fine era sempre con i migliori".
C’era anche chi proprio faticava a tenere certi ritmi di lavoro: "Chi moriva letteralmente — prosegue Di Francesco — era Petruzzi: per lui quei chilometri erano un tormento, una via crucis, ma alla fine al traguardo ci arrivava. Non ricordo nessuno che non sia mai riuscito a completare il lavoro, magari tirando l’anima; era un fatto di principio".
Giorgio Lo Giudice



GIUSEPPE SIGNORI
Un bel rapporto nato con una battuta
"Ciao bomber: e salutava proprio me"


Tre anni a Foggia e altri tre anni a Roma con la Lazio: sempre insieme, appassionatamente. Dunque Signori e Zeman sono legati da un rapporto che va al di là di un normale rapporto tra giocatore e allenatore. C’è tra loro qualcosa che non si spezza. Beppe comincia dall’uomo Zdenek: "In Italia, chissà perché, l’hanno sempre visto, e continuano a vederlo, in una luce sbagliata. Cioè eccentrico, caustico, scontroso, introverso. Guardano soltanto ad una parte della sua personalità. In realtà Zeman è aperto, disponibile, allegro, spiritoso, e ha la battuta pronta".
E l’attaccante del Bologna rammenta alcuni episodi del loro lungo rapporto: "Quando mi vide per la prima volta, a Foggia, mi disse: ciao bomber. Io guardai dietro e di fronte perché ero convinto che si rivolgesse ad un altro giocatore. E invece si rivolgeva proprio a me. E rimasi sorpreso perché fino a quel momento avevo segnato pochi gol e comunque non avevo il carisma del bomber. Ma Zeman aveva visto giusto: in quel primo dei due campionati col Foggia nei cadetti segnai 14 gol. Insomma, quando Zeman mi ha definito bomber lo sono diventato per davvero. Altra cosa: quando un giocatore sostiene di avere lavorato molto e di sentirsi stanco, lui ti risponde che se sei stanco significa che devi lavorare di più per non sentirti stanco e dunque non devi smettere".
E poi Beppe continua con Zdenek allenatore applicato, impegnato, intelligente: "Sa farti compiere i movimenti giusti. Sa prepararti fisicamente. Sa insegnarti a dare del tu al pallone. Sa schierare la squadra in senso geometrico, dandole profondità di manovra. Cosa può fare di più un allenatore? Per me è uno dei migliori. Provo immenso piacere che sia tornato in Italia, una platea calcistica più congeniale alle sue qualità".
Signori ritiene che Zeman sia il tecnico giusto per Napoli: "Se la squadra partenopea parte senza obiettivi precisi, cioè senza inseguire un traguardo ad ogni costo, Zdenek può divertire alla grande il pubblico napoletano".
Silvano Stella
 

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