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Intervista a Zeman su 'CorriereFiorentino.it'

Cronaca || 22/01/2009

Zeman: «Largo ai giovani, bisogna avere coraggio e farli giocare»
«Osvaldo ha tutto per essere un grande. Pazzini tradito da Toni. Balotelli e Giovinco nei migliori club esteri giocherebbero»

Se Felipe Scolari è il gemello di Gene Hackman, Marcello Lippi è stato chiamato per anni «il Paul Newmann della panchina» e Mario Beretta è la controfigura di Al Pacino, c'è un altro allenatore che ha faccia e mimica da cinema e stavolta le somiglianze non c'entrano. Di Clint Eastwood Sergio Leone diceva: «Ha due espressioni, con il sigaro e senza ». Di Zdenek Zeman si potrebbe dire la stessa cosa, anche se aspira solo sigarette. Le pause, gli sguardi, le frasi secche, i concetti, mai banali e per questo, in tempi di insopportabile bla bla, esplosivi più di una pallottola. Mettete un poncho su Zdenek da Praga e il gioco è fatto: «Il boemo, il brutto e il cattivo». E dietro l'obiettivo della macchina da presa Zeman ultimamente ci è finito sul serio: non si tratta di un western, interpreterà se stesso: a Foggia infatti (con il patrocinio dell'assessorato allo sport e al turismo) si sta girando il documentario «Zemanlandia», ricordo di anni straordinari di calcio e non solo che la città, dopo Zeman, non ha più conosciuto. «Per noi - dicono a Foggia - è stato più di Maradona per il Napoli». Amato dai tifosi di tutte le sue squadre (anche quelle che non sono andate bene) e da milioni di sportivi, detestato da tutta la nomenklatura indagata della Prima repubblica del pallone e da qualche illustre collega, Zdenek Zeman è tornato a parlare di calcio: da Kakà alla confusione tattica, dal sistema che ancora esiste alle squadre senza identità, con uno sguardo al calcio estero e ai giovani che fuori confine hanno chance e possono esplodere e invece nel nostro «saurocalcio» faticano ad avere spazio e vengono bocciati dopo le prime difficoltà. Lui di talenti ne ha lanciati un'infinità ed è motivo di orgoglio a distanza di tanti anni ricevere ancora ringraziamenti e attestati di stima da campioni affermati, come l'ex Signori o Totti, e da quelli il cui talento si è un po' perso per strada, come Bojinov o Osvaldo.

Mister ha sentito le parole dell'ex pupillo argentino che lei lanciò in B a Lecce: «Zeman è l'unico maestro che ho avuto.
«L'ho sentito e mi fa piacere. Avrei voluto insegnargli di più. Purtroppo non è stato possibile».

Lei disse al Corriere che nei piedi di Osvaldo c'erano 20 gol a stagione. Ne abbiamo contati cinque in 18 mesi...
«È difficile giudicare da lontano, ma confermo che Osvaldo tecnicamente ha tutto del grande giocatore. Però come tutti i giovani ha bisogno di giocare con continuità. Giocare e imparare. Se entri ed esci dal campo e ti ritrovi a disputare solo spezzoni di partite magari già in salita è più complicato crescere. Per sfondare, avrebbe avuto bisogno di un percorso come quello di Signori a Foggia: un paio di anni di allenamenti, movimenti, partite e poi il salto. Lui invece ha fatto un anno di primavera, uno scarso di B e subito Firenze, chiuso da giocatori esperti e forti. La città, i guadagni, poco campo: il rischio di perdersi o sedersi c'è. Nei giovani se ci credi devi insistere, insistere, insistere. Altrimenti meglio farli crescere in provincia».

Quando nel gennaio 2005 le fu venduto Bojinov disse la stessa cosa: «Gli avrebbe fatto bene restare a Lecce fino alla fine della stagione».
«Bojinov è un grandissimo talento calcistico, ma a Firenze prima e a Torino poi, per diverse ragioni, non ha giocato. Ed è un peccato. Un discorso che rischia di ripetersi per altri giocatori oggi in Italia».

La lista è lunga: da Balotelli a Giovinco.
«Balotelli a livello di tecnica pura non è inferiore a Ibrahimovic e Giovinco ha un dinamismo superiore a quello di Del Piero: diverso è se parliamo di leadership, personalità o peso nello spogliatoio. Ma entrambi meriterebbero di giocare. All'estero lo farebbero: dall'Arsenal al Barcellona è pieno di esempi di grandi squadre che hanno lanciato giovanissimi. Messi, oggi il più forte di tutti, gioca da quattro anni. E Van Persie è da tre anni ai Gunners».

Torniamo in Italia. Pazzini è un altro giovane che non ha (ancora) sfondato.
«Non l'ho mai allenato. Prima si è trovato davanti un giocatore come Toni e poi a doverlo sostituire: ma lui non era e non è un Toni. Subito dopo è stato preso Gilardino...».

Lo scorso anno però ha giocato con continuità e ha segnato solo 9 gol.
«Ma con lui la Fiorentina è andata in Champions League».

Il caso della settimana: ma lei Kakà per 120 milioni l'avrebbe ceduto?
«Io non credo abbiano offerto quella cifra, ma se fosse stata vera e il giocatore fosse stato d'accordo, sì. Kakà ha fatto un'altra scelta, di carriera, e io la trovo giusta. D'altra parte 9 milioni all'anno sono già abbastanza per vivere bene, non crede?».

La mia risposta è scontata come lo è stata la sua, visto il suo passato. Il primo Foggia in A, quello dei miracoli che fece parlare di Zemanlandia era composto da: Mancini, Petrescu, Matrecano, Padalino, Codispoti, Shalimov, Picasso, Barone, Rambaudi, Baiano, Signori. Quanti ne furono ceduti a fine anno?
«Nove, rimasero solo Mancini e Petrescu... Rifacemmo la squadra con giocatori sconosciuti presi dalle serie minori e ci salvammo di nuovo giocando un bel calcio. Se hai un'identità puoi fare a meno anche di Kakà e con tanti soldi comprare altri giocatori o coprire i buchi di bilancio...».

Zeman, sembra di tornare alle denunce del 1998...
«Non è cambiato un granchè. I bilanci restano in rosso, magari i piccoli club devono coprire 2 milioni mentre i grandi 300 o 400. Succede in italia, succede all'estero».

Calcio giocato: quale squadra le piace di più oggi in Italia?
«Non mi appassiona nessuna, non vedo squadre che hanno una loro identità, raramente si assiste a tre partite di fila giocate nello stesso modo ».

Nessuna novità tattica?
«Per me, no. Vedo una grande confusione tattica e poco spettacolo. Tutte le squadre giocano "sotto palla" (il tecnico intende dietro la linea del pallone, ndr) che non vuol dire sia sbagliato. Il problemaa è che se rubi palla dovresti ripartire in velocità e invece le squadre tendono a voler avanzare con la manovra corale e lenta, stile Milan per intendersi, e questo permette agli avversari di riposizionarsi dietro la linea del pallone. Non ci sono fiammate».

Come spiega il fatto che molti club vadano forte in casa e siano friabili in trasferta come Napoli, Genoa e in parte Fiorentina o che abbiano inanellato a turno strisce di risultati positivi e negativi come Roma, Udinese, Cagliari e Catania?
«In parte con il discorso sull'identità che manca, in parte con il calendario e in parte col fatto che da sempre in casa si racimola qualche punto in più».

Tra le squadre in lotta per la Champions quale la convince di più?
«Saranno tutte lì, fino alla fine. Forse la Lazio, se ci crede e acquista più coraggio. Un altro come Zarate in giro oggi non c'è».

Zeman, il processo di Napoli appena iniziato è slittato. Che cosa si aspetta?
«Non mi aspetto niente, c'è chi dice che non succederà niente. Ma la gente ha capito che è successo. Basta riascoltare qualche intercettazione per zittire quanti cercano di discolparsi. Mi auguro solo non si arrivi a prescrizioni come in tanti altri casi».

Ma il calcio è cambiato o il «sistema » esiste ancora?
«Sono usciti ufficialmente o ufficiosamente alcuni protagonisti. Sono sparite alcune società. Ma l'influenza di certi personaggi in certi club anche importanti di A, resta».

Il pm Raffaele Guariniello si è chiesto che fine ha fatto Zeman...
«La pensavamo allo stesso modo. La prescrizione nel processo per abuso di farmaci e frode sportiva gli ha impedito di certificare quello che tutti hanno capito essere successo in quegli anni»

Lei non allena: paga ancora le sue battaglie per un calcio diverso?
«Sì».

 di Andrea Di Caro da CorriereFiorentino.it del 22 gennaio 2009.

 
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