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Intervista a Mister Zeman di Antonio Giordano dal Corriere dello Sport

Cronaca || 19/06/2008

Dov’eravamo rimasti? Lecce 2006, nuvole di fumo ad annebbiare il Na­tale, strappandogli l’allegria dall’anima. 4-3-3, una formula magica, un percorso mistico, un senso d’appartenenza che da Licata a Foggia, dalle due sponde del Tevere a Napoli, persino da Saler­no ad Avellino è riuscito a coinvolgere schiere d’adepti aggrappati al simbolo d’un altro calcio, fascinoso e maledetto, strepitoso e dannato, elettrizzante e scioccan­te.
Il calcio che va dalla A sino a Zeman si spinge oltre le diagonali, i tagli e le verticalizzazioni, tra­cima al di là dei discorsi convenzionali, non con­fonde ma miscela l’etica e l’estetica e rifiuta « le farmacie e le plusvalen­ze », la speculazione tatti­ca e il disordine applica­to. Il calcio di Zeman è un groviglio d’emozioni ap­passionanti trasmesse a pletore di fedelissimi estasiati da quelle giostre in continue evoluzioni, animate ora da Codispoti e ora da Signori, ora da Fish e ora da Totti, e che fondavano la loro esi­stenza su una filosofia di vita: essere, non avere. La Stella Rossa di Bel­grado è la nuova frontie­ra per esportar quella scuola di pensiero che ha abbattuto gli steccati ed ha aggregato a sé un Cancogni e un Piovani, un Antonello Venditti e un Antonio Albanese, maestri scrittori ed uo­mini Oscar, cantautori ed artisti. La trasversalità che eleva l’allenatore al rango di pensatore, sen­za lasciarlo finire in fuo­rigioco.

Zeman, si sente un po’ emigrante?

«Direi di sì. Ma è il mio status. Solo che quaran­t’anni fa ho scelto l’Italia, stavolta invece in Italia mi è stato fatto chiara­mente capire che non po­tevo allenare».

S’è chiesto perché è ri­masto quasi due anni fermo?

«Sì e non ho trovato ri­sposte. Io penso di aver fatto bene, anche se c’è chi si affanna a dire che non ho vinto nulla. Mi chiedo: e quanti hanno vinto? Però allenano in tanti, sino alla C2. Potrei anche aggiungere che al sottoscritto il sistema non ha permesso di vin­cere, ma poi va a finire che dite che è il solito Ze­man ».

Di lei è soddisfatto?

« Lo sono per quanto trasmesso, lo sono per i ricorrenti attestati di sti­ma dei miei giocatori, che mi ringraziano di quanto loro insegnato. Sono gratificazioni che hanno un valore morale enorme. Molto più delle vittorie negate che m’­hanno fatto pensare a tante cose strane. Sono fiero di quanto ottenuto dai giocatori del mio pas­sato ».

E’ cambiato qualcosa da Calciopoli in poi?

«Dal mio punto di vista, quasi niente. Perché a parte due personaggi usciti di scena, si notano sempre le stesse facce in certi posti».

Come l’ha convinta la Stella Rossa di Belgra­do?

« Con l’entusiasmo, il programma, il desiderio di crescere. Con la storia d’un club che è ricca».

Finisce in un Paese che le piacerà, vista la sua cultura calcistica.

« Inevitabilmente. Lì sono nati e cresciuti ta­lenti impareggiabili del tennis del passato e del presente, la pallacane­stro ha riempito un’epo­ca; e anche la pallanuoto, la pallavolo, il calcio. Un’enciclopedia dello sport » .

Ha qualche rimpianto prima di partire?

« I dieci anni che ho perso per colpa del siste­ma ».

E un’autocritica da fa­re?

« Credo di aver com­messo qualche errore, ma ho sempre sbagliato con la mia testa».

La sua miglior squa­dra?


«Servono le proporzio­ni: il Licata giocava ad occhi chiusi; ma Lazio e Roma hanno divertito, eccome».

L’Europeo entra nella fase calda.


« M’è piaciuta molto l’Olanda, m’è piaciuto molto il Portogallo, m’è piaciuta molto la Spagna. Organizzazione e ricerca del bel gioco. E poi ci so­no giovani che hanno fu­turo ».

Il suo futuro?

« Riuscire a plasmare una squadra che vuol tor­nare ad essere grande. Ci mettiamo al lavoro subi­to, tra poco più di una settimana».

Il 4-3-3, dicono in giro, sta finendo in soffitta.

«Non mi pare: lo fanno in tanti. Magari lo chia­mano diversamente. Ma io lo vedo».

C’è un nuovo Zeman in giro?

« Spero che non ci sia. Spero che ci siano allena­tori che abbiano idee proprie e principi simili ai miei».

Cosa chiederà a se stesso?

«Di continuare a realiz­zare bel gioco, di far cre­scere la mia Stella Rossa, di ottenere il consenso che la gente per strada non mi ha mai negato, di trasmettere sensazioni positive».

Il calcio è uguale ovun­que?

«Quest’Europeo dimo­stra che anche in piccoli Paesi si possono realizza­re grandi risultati».

Antonio Giordano  

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