30 Novembre 1999: Il Mister ha trovato una chicca per noi. Eccovi una particolarissima intervista a Zeman
Cronaca ||
30/11/1999
Questa intervista è stata rilasciata da Zdenek Zeman prima che l'A.S. Roma lo
esonerasse. La lettura a posteriori fa cogliere in maniera ancor più intensa e
significativa le trasformazioni profonde che investono oggi il mondo del calcio.
Lancillotto e Nausica non era mai intervenuta direttamente nella cronaca giornalistica
intervistando un protagonista dello sport attivo, poichè non fa parte delle nostre
caratteristiche entrare nella competizione tra le testate che gestiscono quotidianamente
lo stillicidio dell'informazione sportiva. Ma in questo caso il discorso è diverso. Zeman
non parla come gli altri. Pur essendo ai massimi livelli del suo settore ed avendone i
conseguenti benefici, conserva la capacità di esaminare dal di fuori il fenomeno calcio.
La ricerca del successo non stravolge i valori che sono alla base delle sue scelte ideali:
"Voglio vincere, ma non ad ogni costo". Per lui si è vincenti non se si riceve
la vittoria, ma se la si costruisce giorno per giorno con l'intelligenza e l'impegno.
Zeman rappresenta una contraddizione del sistema e forse proprio per questo ne subisce la
vendetta. Dopo che la ormai celebre frase: "Il calcio deve uscire dalle farmacie e
dagli uffici finanziari" aveva messo al centro dell'attenzione la questione doping,
ci interessava, per completare l'analisi, sottolineare l'altra metà dell'accusa.
COSI' PARLO' ZEMAN
Sull'arte della manutenzione del pallone
a Trigoria il 13 Gennaio 1999
con Paolo Ogliotti e Aldo Russo
C'è lo sport e ci sono i giochi. Tra i giochi come è spiegabile il successo tanto
più grande del calcio?
E' difficile a dirsi, perchè la natura dei giochi è una sola. Il gioco del calcio ha
una sua storia...può avere qualcosa in più. Non esige particolari spazi ne' particolari
attrezzature, e quindi può essere praticato ovunque, in qualsiasi spazio. Un bambino esce
in mezzo alla strada, trova un sasso e gli da' un calcio. Se trova una palla...Questa
penso sia la caratteristica di questo gioco: rispetto ad altri giochi è più semplice.
Nel basket ci deve essere un canestro messo lì in alto. E' più difficile da trovare, in
mezzo alla strada. Il calcio è il gioco più praticato dai bambini, per questo attira di
più.
Eppure il piede non è lo strumento ideale per il controllo di un oggetto...
E' discutibile che non lo sia...dipende dal piede. E poi, ripeto...io cammino, trovo
una cosa e gli do un calcio. Non è che mi chino, la prendo con la mano e la lancio.
Ma cosa ha attratto lei verso il calcio?
Ma io non ho mai avuto il problema di fare graduatorie tra gli sport. Io amo lo sport
in generale. Certo, mi occupo di calcio, e non di un altro sport, perchè uno può fare
una cosa e non può farne cinque insieme. Ma non sarebbe camniato niente se avessi
continuato a fare pallavolo o pallamano, o nuoto o atletica.
Il fatto di essere capitato nel calcio è casuale quindi?
In un certo senso, ma è anche vero che il calcio esercita una forza di attrazione
particolare. Tutti quelli che praticano una qualsiasi disciplina sportiva penso che
guardino al calcio, mentre, al contrario, i calciatori è difficile che sappiano che
cos'è il badminton, o che si interessino ad altri sport. Il calcio è uno sport
popolare e quindi è naturale che uno ci voglia lavorare e trovare soddisfazioni.
Lei è in una posizione particolare, nel senso che, essendo l'allenatore, non è
solo il regista del gruppo, è anche un po'l'affabulatore, cioè colui che parla per
questa squadra e per questo sport, colui che ha il rapporto con la massa dei tifosi. La
popolarità l'attrae perchè così può rivolgersi a molte persone?
No, non credo: questo è casuale; io sono nello sport e secondo me non per sbaglio,
visto che ci sono voluto stare, ho fatto di tutto per starci; da piccolo per me era una
cosa importante, ci ho sempre creduto, ci sono sempre voluto stare dentro. Ho praticato
tante discipline, poi mi sono fermato al calcio, visto che bisognava fare una scelta
concreta. Sono rimasto nel calcio perchè è qui che mi è stata data questa possibilità.
Forse anche perchè il calcio ha delle caratteristiche, delle regole particolari?
Per me è stato diverso. In un certo senso è stato il calcio che ha scelto me. Io ho
fatto sei, sette attività, nel periodo in cui ho vissuto a Palermo; mi sono occupato di
pallavolo, di pallamano, sono stato istruttore di nuoto, allenatore di calcio nel settore
giovanile. Poi, andando avanti...è stato il calcio che mi ha fatto andare più avanti.
Ma sono tante le ipotesi che si fanno sulla popolarità del calcio. Non è forse
così attraente anche per la presenza di alcune peculiarità: ad esempio la larghezza
delle porte, l'esistenza di un giocatore diverso, come il portiere...?
Io non credo: sono altre le discipline caratterizzate dalla presenza di regole
particolari. Penso che il calcio sia un riferimento naturale per qualsiasi bambino, per
qualsiasi ragazzo.
E qual'è per lei la partita che rappresenta la partita ideale, la partita
memorabile? Noi vorremmo in qualche modo scoprire i segreti del calcio.
Secondo me nel calcio non ci sono segreti. In fondo è il gioco più naturale, lo
praticano in tanti...lo fanno un po' tutti.
Però ci sono delle partite che rimangono memorabili, ed altre che passano...
Ma si tratta di partite memorabili più per i risultati che per quallo che succede
veramente in campo. Partite che sono finite zero a zero ma che sono state bellissime sul
piano del gioco, sul piano dell'impegno, sul piano dei gesti tecnici, non vengono
ricordate. Si ricordano magari le partite come quella del 4 a 3 con la Germania, peraltro
una partita con grossissimi errori, memorabile appunto forse per gli errori. Che poi viene
ricordata qui in Italia; mentre in Germania magari se ne ricordano altre. Sono le persone
che danno le valutazioni, e le danno dal proprio particolare punto di vista. Le
valutazioni sono sempre soggettive. Le partite le fa memorabili la gente, lo spettatore,
chi partecipa emotivamente.
Certo lei inevitabilmente la vede da tecnico; però il risultato è fondamentale
per quanto riguarda la memorabilità della partita, il giudizio su di essa. Una partita in
cui il risultato viene ribaltato negli ultimi momenti rimane più impressa nella memoria
perchè da' più emozioni. Noi pensavamo che l'emozione potesse essere un elemento
fondamentale...Nel basket è tutto più semplice...E' difficile che perda la squadra più
forte, nel calcio invece succede spesso.
Nel basket è tutto ancora più casuale. Basta mezzo centimetro e la palla non va a
segno. Nel basket la quastione del canestro è importante. Se sbagli due tiri perchè la
palla va sul ferro...salta da ferro a ferro e poi esce...mentre dall'altra parte la
mettono dentro, cambia tutto...
Ma in una gara sui cento metri vince sempre il più forte.
Lì il discorso è un altro. Proprio per questo si dice che l'atletica è uno sport e
questo è un gioco. Lì c'è veramente il valore allo stato puro...Il valore come fattore
determinante: si mettono in otto sulla linea e poi chi è più bravo arriva primo. Nei
giochi, proprio perchè sono giochi, non è smpre così. La casualità ha il suo peso.
Allora proprio per queato alcuni allenatori tendono a diminuire il tempo di gioco?
Organizzano la moltiplicazione dei tempi morti, teorizzano il fallo a centro campo,
diminuendo così anche la casualità...ceracndo magari di sfruttare le qualità di
Ronaldo. Così il campione di turno gli funziona come l'elemento che fa la differenza. E
tutto ciò non va a danno dello spettacolo, del divertimento, del gioco?
I discorsi sono due e vanno separati: uno è interno al calcio, l'altro è esterno. Nel
primo caso c'è da considerare che ognuno ha la sua interpretazione del gioco, ed è
giusto che sia così. Perchè il gioco sia vario è bene che sia interpretato in tanti
modi. Le tattiche possono essere diverse: si può impostare il gioco più sulla difesa,
difendersi di più per cercare di aspettare gli errori degli altri; oppure, al contrario,
si può tentare di mettere sistematicamente in difficoltà l'avversario con una tattica
più spregiudicata. E' questione di mentalità. Per quanto riguarda l'altro aspetto della
questione c'è da dire che le tattiche qui non c'entrano niente. Per l'allenatore che teme
di perdere la partita, perchè può perdere il posto in panchina, sono altre le cose che
influiscono: non si tratta più di far sviluppare il gioco come intesa tra i
giocatori...in un modo o in un altro; non si tratta più di tattiche. Certo, con le
pressioni che ci sono oggi, ma che c'erano anche ieri, si possono fare scelte di questo
tipo. Sono scelte legate all'interesse personale...A me piace vedere i bambini in mezzo
alla strada che giocano senza preoccuparsi di nient'altro se non del gioco...
Il pianeta tifo
Attorno al campo di gioco c'è una figura particolare, quella del tifoso, che vive
quei novanta minuti della partita soffrendo, sudando sette camicie e pensando di
contribuire in qualche modo ai trionfi della squadra...sembrerebbe quasi affetto da una
qualche malattia...
Penso che ci sia da fare una differenza tra il tifoso e lo sportivo. Il tifoso
parteggia per una squadra e si interessa solo di quella...legge solo di quella. Lo
sportivo è forse quello che riesce a interessarsi di tutti gli sport, a leggere di
tutto...e lo fa con piacere. Comunque, attorno al calcio c'è sempre un gran parlare e un
gran discutere. E' di nuovo il problema della differenza tra gioco e sport, tra calcio e
atletica. Nei cento metri c'è solo una partenza e un arrivo: c'è poco da discutere. Nel
calcio, proprio perchè ci sono tante situazioni, tante componenti che possono influire,
ci possono essere tanti argomenti di discussione. Tutto diventa discutibile. Ognuno dice
la sua. Un gioco come il calcio permette e anzi stimola la possibilità di esprimere
un'opinione...da' un'opportunità. Sui cento metri non c'è da parlare. Penso che nache
per questo...proprio per questo, il calcio è seguito da tanti. Perchè ognuno può dire
la sua...e può anche legittimamente pensare di avere ragione.
Nel romanzo di Nick Hornby "Febbre a 90'" c'è, del tifoso, una
divertente analisi che sembrerebbe suffragare la tesi espressa da Carlos Bianchi,
"quando uno si vuole divertire deve andare al cinema: la partita è un'altra
cosa". Hornby fa dire al suo protagonista queste parole: "Non avevo voglia di
divertirmi con il calcio. Mi divertivo da tutte le altre parti, e ne avevo abbastanza.
Quello di cui avevo più bisogno era un luogo dove questa infelicità non meglio
identificata potesse prosperare, dove potessi restare impalato a preoccuparmi e
abbattermi". Cioè l'appartenenza come fede sportiva ...la vita da tifoso...è
vissuta come sofferenza; e finchè la squadra non vince si soffre. E anche quando si
vince...non è che si guarisce.
Quelli che pensano di aver già vinto prima che cominci la partita, certo, sono
destinati a soffrire...A Roma noi abbiamo i laziali...ma non è vero che tutti si
avvicinano al calcio in questo modo. Certo, se sai che la tua squadra fa cinque gol,
naturalmente tu allo stadio ci vai tranquillo. Ma in generale, la gente va a vedere la
partita, e ci va volentieri, proprio perchè non ci sono partite già scritte...proprio
perchè nel gioco c'è l'imponderabile. Ci va curiosa, per scoprire: "che succede
oggi?"
E' curiosità, quindi, non è soffrenza?
La gente spera di vincere ma è curiosa di vedere come andrà a finire...
E il compito dell'allenatore non è, in qualche modo, quello di non far soffrire il
tifoso?
Io non ho il compito di non far soffrire. Ho il compito di dare emozioni, di dare
emozioni positive, di far vedere qualcosa di interessante, come gesto tecnico e come gesto
tattico...Mi si obbietta sempre però che scendo in campo per giocare bene e non per
vincere. Non è proprio così. Io penso che tutti lavorino puntando alla vittoria. Poi
ognuno sceglie i mezzi con i quali arrivarci. Io voglio vincere; ma con i mezzi che
ritengo più consoni, più giusti...dando emozioni postive.
Lei comunque, volente o nolente, nel momento in cui dirige una squadra e fa delle
dichiarazioni, ha un dialogo continuo con un tifoso. In un certo senso lei è come un
politico: agisce sul popolo dei tifosi. Quindi un allenatore ha una funzione importante...
Di questo mi rendo conto: abbiamo delle responsabilità verso gli altri.
A proposito della partita come divertimento, in un recente libro di Carmelo Bene ed
Enrico Ghezzi "Discorso su due piedi (il calcio)", Carmelo Bene dice ad esempio:
"non seguo certo il teatro, me ne fotto del cinema...quando c'è l'N.B.A. però il
basket non lo si può perdere". Un uomo di teatro, quindi si diverte con il basket.
Lei, se si vuole divertire, va a vedere una partita di calcio?
Sì, riesco a divertirmi. Perchè a tutt'oggi mi sento un uomo di calcio, il calcio mi
interessa, mi piace...come mi piaceva anche in passato.
E' stato tifoso?
Non mi considero un tifoso, ma uno sportivo. Sì, parteggiavo per una squadra; ma se la
mia squadra giocava peggio dell'avversario...lo riconoscevo.
Non ci soffriva più di tanto, quindi...Eppure, per concludere questo discorso sul
tifo, le racconto di uno studente che va sempre a scuola con una sciarpa giallorossa, un
elemento stabile del suo vestiario. Gli hanno chiesto: "Per caso sei
romanista?". Ha risposto sorpreso: "Come sarebbe a dire 'per caso'?". E
allora alla nuova domanda: "Per scelta allora?", ha replicato: "Per
scalta?...Per nascita!". Pensando a questa risposta, sembra se ne possa dedurre che
in effetti è difficile cambiare amore nel calcio più di quanto non accada nella normale
vita affettiva: si può cambiare moglie o marito, ma forse la squadra un tifoso non la
cambia. Lo sportivo è un esteta del gioco, va bene; ma il tifoso...
Per me è difficile spiegare come si comportano gli altri. Non riesco a viverla questa
situazione, e allora preferisco non esprimere giudizi. Ma penso che il fatto che uno si
attacchi a qualche cosa non sia un male...Il romanista che cammina sempre con la sciarpa e
cerca di attaccarsi a un'idea...cerca anche di guidarla...Non è una cosa tanto negativa,
poi. Se uno si costruisce un'idea a cui attaccarsi, un qualcosa che gli può dare
gioia...dolori...sensazioni...forse sarà meglio che niente. Forse è meglio che prendersi
qualche cosa del vivere, piuttosto che non prendere niente.
Il mestiere dell'allenatore
Un'antropologa, Ida Magli, parlando dell'allenatore lo paragona allo sciamano,
cioè a colui che conosce il segreto delle tecniche, che ha la possibilità di trasmettere
questo sapere direttamente e in questo senso rappresenta l'unica autorità riconosciuta.
Dice precisamente: "Non si tratta di sapere che esiste di per sè, ma che ha bisogno,
per essere trasmesso, dell'uomo che lo possiede. L'allenatore è stato campione, per
questo è investito di stima, di fiducia e di autorità".
Penso che l'abbia scritto una persona che sta fuori del mondo del calcio. Da fuori può
sembrare che le cose vadano diversamente, am l'allenatore oggi ha perso molto, rispetto al
passato.
Nei confronti del suo gruppo? Dei giocatori?
Non so...parlo del ruolo sia in rapporto all'ambiente, sia in rapporto a ciò che sta
fuori dell'ambiente.
Per fare un esempio, rispetto al periodo di Helenio Herrera è cambiato il peso
dell'allenatore?
Sì, penso di sì!
Perchè? Forse anche per la modifica della condizione dell'atleta, che oggi è più
ricco rispetto ad allora: è più società finanziaria, per così dire? Un atleta
oggi ha esigenze di immagine...
Sì, gli interessi personali possono essere una causa.
E rispetto al pubblico degli sportivi e dei tifosi? Per fare un altro esempio,
contemporaneo questa volta, a noi sembra che il suo nome - a prescindere anche dalle
vicende del doping e della farmacologia - compaia continuamente sui giornali. C'è stato
un giorno di gennaio in cui il suo nome, sul Corriere dello sport, solo nei titoli
ricorreva ben sette volte. Si direbbe che oggi giornali e televisione operino
sistematicamente questa identificazione tra squadra e allenatore.
Una volta la situazione era diversa. Nell'immaginario del tifoso prevaleva l'identità
collettiva della squadra; il calcio era visto come gioco e come sport collettivo...era,
per così dire, individuato nel collettivo. Oggi i giocatori cambiano così
velocemente che, anche se è vero che c'è un'amplificazione maggiore delle singole voci,
ogni voce parla per sé. Non parla più per la squadra. Non è più simbolo della squadra.
Però, tutte le domeniche quando la Roma gioca in casa, sotto il tabellone della
curva nord c'è uno striscione dove c'è scritto: "Zeman come ideale". Questo
sembrerebbe indicare addirittura qualcosa di più rispetto all'equazione: allenatore
uguale squadra.
Bisogna chiedere a quelli che l'hanno scritto che cosa hanno inteso dire...che cosa
pensano...E' naturale che, se vogliono ispirarsi alle mie idee, io ne sono contento.
Non è mai successo che una cosa del genere sia stata scritta per un allenatore,
anche della fama di Helenio Herrera...Questo vuol dire che c'è una capacità da parte del
popolo dei tifosi di entrare all'interno del suo modo di concepire lo sport, di
confrontarsi con le idee. Ma vuol dire anche che l'allenatore ha assunto, checchè ne dica
lei, un ruolo importante.
In questo senso può essere vero. Io spero in positivo; sono ottimista...a me fa
piacere, e spero di poter dare qualche cosa alla gente.
L'allenatore, oltre a svolgere il suo ruolo tecnico, sta assumendo quello del public
relation man della squadra, fa conferenze stampa, sta in rapporto permanente con i
mass media, acquista uno spessore comunicativo che una volta non aveva. Lei sostiene che
prima contava di più perchè era parte di un'immagine collettiva; eppure si ha
l'impressione di una figura mai tanto presente come in questo momento...Insomma, di che
natura è questo fenomeno? Può la preoccupazione dei rapporti con il popolo dei tifosi,
con il mondo della comunicazione, porsi in primo piano, interferire troppo, creare
difficoltà al lavoro primario che svolge?
A questo non credo. Oggi anche i giocatori parlano di più rispetto al passato. Parla
di più l'allenatore, parlano di più i giocatori. Al giorno d'oggi tutto il sistema viene
amplificato. Per quanto riguarda poi l'allenatore, è naturale che chi guida un gruppo,
chi è responsabile di quel gruppo sia sul piano tecnico-tattico che sul piano
organizzativo o dell'immagine, cerchi di rappresentarlo e venga messo in primo piano sulla
scena.
Gli uffici finanziari
Stiamo entrando nel tema - che poi ci preme molto - della trasformazione del calcio
in questi anni. Lei ha detto, tempo addietro, che "il calcio deve uscire dalle
farmacie e dagli uffici finanziari". A noi interessa, dato che il primo tema è stato
più che trattato, approfondire questo secondo aspetto, quello degli "uffici
finanziari", il ruolo che il mondo della finanza sta assumendo nel calcio.
Premetto che queste sono sempre mie impressioni. Quando ho nominato gli uffici
finanziari ho inteso fare un discorso di carattere generale. Io mi dichiaro sportivo,
faccio sport perchè mi piace, e vedo un pericolo: che nello sport certe qualità si
stanno trasformando in business. Penso che sport e affari siano due attività
completamente diverse, e ognuna delle due abbia le sue caratteristiche...Caratteristiche
che non vanno bene insieme.
E quindi anche il fatto che le squadre siano quotate in Borsa, per esempio? Ormai
il processo è molto avanzato...
Non è tanto questo. Il problema è più generale. Una volta nel mondo dello sport
c'erano gli sportivi: erano quelli a cui piaceva lo sport, quelli che partecipavano,
quelli che perseguivano gli obbiettivi propri dello sport, e lo facevano rispettando quei
valori. Mentre ora, con l'entrata del business, si avvicina gente che con questo mondo non
c'entra proprio niente, ma che con lo sport vuole guadagnare dei soldi. La motivazione è
diversa: "entro nello sport solo perchè per ora tira, investo tanti soldi sapendo
che tra due anni li raddoppio...poi me ne vado". Credo che questa sia la fine dello
sport. Perchè il business si sposta secondo gli interessi: dove ci sono dei soldi. Non
dove ci sono delle persone fisiche, dove ci sono delle idee. Perchè il business con le
idee non ha niente a che fare. Il business con le persone in quanto tali non ha niente a
che fare. Il business sta dove stanno i soldi. Ripeto, se nell'ambiente entra chi di
calcio o di sport non capisce niente, e ci entra solo con la prospettiva di guadagnare dei
soldi, penso proprio che questa gente non potrà dare alcun contributo positivo al calcio
o allo sport in sé.
Lei parla...
Parlo in generale.
...sia delle strutture societarie che dei manager...Per esempio, a livello
societario siamo passati dal presidente mecenate, che c'era una volta, al presidente che
non c'entra quasi con il calcio, che acquista la società calcistica per poterne
utilizzare l'immagine a fini del tutto esterni.
Dal mio punto di vista preferisco un presidente tifoso, che si sente attaccato alla
squadra, vive e partecipa alle decisioni, piuttosto che uno che arriva e dice: "io mi
prendo questa squadra, ci voglio guadagnare, investo dei soldi e faccio di tutto per
averne un ritorno".
Ma oggi sono tutti così?
Che siano tutti così non lo dico e non lo penso; ma siamo su quella strada...Certo è
difficile...è un'altra mentalità. Secondo me è, per così dire, a prescindere
dall'America, un fenomeno all'americana...Quello è un paese nuovo. C'è una situazione
nella quale per qualsiasi cosa si va per tentativi. Nello stesso giorno si fa e si disfa.
Credo che la nostra cultura, la cultura europea, sia un'altra cosa. E così anche il
calcio, per quello che ha rappresentato durante questi cento anni e passa di storia e per
quello che rappresenta ancora. E' tutto molto diverso. Bisogna considerare questo aspetto.
Non si possono fare paragoni con l'America, dove ogni giorno nasce uno sport nuovo, si
pratica un mese...poi si chiude...si cambia e ci si butta su un altro sport. Noi, per la
nostra cultura e le nostre abitudini, non possiamo fare così...non possiamo copiare.
Oggi c'è un altro elemento ancor più destrutturante. Quando arriva un Murdoch e
offre così tanti soldi alle società, diventa il padrone, non di una squadra, ma proprio
del campionato, di un modo di organizzarsi dell'intero sistema calcistico. Non è questa
un'ulteriore modifica? Oltre agli inteventi degli uffici finanziari, non c'è anche quasi
un atto di acquisto dello sport? E' ancora sport, se è di qualcuno?
Sta qui infatti il problema. Questi sono i pericoli per lo sport in se. Il calcio tira
tanto che determina grossi investimenti: l'idea è quella di far venire di meno la gente
al campo e di farla stare a casa a guardare la partita in televisione. E io penso che il
pericolo maggiore per lo sport sia proprio questo. Sono convinto che se uno non viene alla
stadio...se si siede davanti alla televisione e dopo cinque minuti non gli piace la
partita...mette un film. E poi i bambini, restando a casa, non vivranno lo sport, non lo
sentiranno, non si potranno appassionare: non lo praticheranno più. Senza considerare che
se manca il contatto con la gente, viene meno il principio fondamentale dello sport, che
è quello di socializzare. E quando finirà il calcio, magari Murdoch si andrà a comprare
altre cose. E lo sport finirà lì, abbandonato a se stesso. In prospettiva io vedo queste
cose. Insomma, penso che lo sport ha bisogno di gente viva, che partecipa, che sta a
contatto con gli altri. Nel modo in cui stanno andando le cose mi sembra che la gente si
cerchi di allontanarla e di separarla. Il bambino che sta a casa...vede la partita e dice:
"papà mettimi i cartoni animati, che mi piacciono di più". Questo bambino su
un campo di calcio, nel mondo del calcio, non lo troverò mai. E il calcio, e lo sport in
generale...perdono.
A questo punto, visti i rischi di intromissione, difendere l'essenza del calcio è
importante. Lo sport sta vivendo un nodo storico.
Si tratta solo di rendersi conto della nuova situazione. Di vederne i vantaggi e gli
svantaggi. Di cercare e di trovare gli equilibri giusti.
Però, se è la potenza economica che conta...diventa sempre più difficile trovare
gli equilibri.
Il pericolo non è solo per il calcio. Ho seguito il basket americano, un gioco che ha
tradizioni, radici, che ha grande diffusione. E, persino lì, all'improvviso si è
bloccato tutto. C'era il rischio che saltasse il campionato. E dopo ci si domanda come mai
e perchè.
Ci possono essere delle regole che in qualche modo tutelino...?
Le regole ce le dobbiamo dare noi sportivi. E dobbiamo cercare di metterle in
pratica...Bisogna farlo lo sport...quello che ancora è sport. Farlo diventare una
disciplina, conoscerne le caratteristiche, i valori.
C'è stato chi ha parlato, anche negli Stati Uniti - poi magari non ha funzionato -
di un tetto da imporre alle spese delle società ed ai salari dei giocatori, di
agevolazioni per le piccole società, in modo da evitare l'ingigantimento di alcune
strutture e l'impossibilità di gestire il tutto...Regole di questo tipo possono essere
utili?
Non credo che possano funzionare granchè. La regola non deve essere imposta, deve
essere naturale. Le regole che non vengono accettate con sincera convinzione saranno
sempre trasgredite. Si potrà sempre scappare. E' inutile dire "a un giocatore posso
dare solo un miliardo", se so che ci sono degli sponsor che gliene possono dare altri
trentacinque. Come società potrò anche dargliene uno, ma poi troverò lo sponsor che gli
darà gli altri trentacinque. Perciò la cosa non ha senso.
Lei parla più che altro di correttezza morale, di 'senso etico'?
Parlo proprio di questo. Mi rendo conto che è difficilissimo da realizzarsi. Spero che
qualcuno pensi al futuro, a quello che potrà succedere. Nel calcio oggi entra gente che
fa questo ragionamento: "che mi importa di quello che può succedere tra cinque o
dieci anni. Basta che per ora prendo i soldi". Il mondo del calcio del resto è
aperto a tutti, ci lavora tanta gente...tanto per dire, ci sono trenta radio che vivono
sul calcio dalla mattina alla sera...E così nelle televisioni, nella stampa...c'è tanta
gente che ci vive.
Il calcio come il catch
E la Superlega, questa nuova Champion's League? Non è anche questo un tentativo
per trasformare la struttura dei campionati?
Sono modifiche che secondo me non vanno...Penso di no...Non sono giuste né
positive...almeno dal punto di vista sportivo.
Lei parlava del fatto che il basket americano sta rischiando la morte...un fermo
vero e proprio...
Ora hanno risolto, hanno ripreso. Ma il campionato sicuramente è diverso.
Si rischia forse di arrivare al catch o al wrestling? Si rischia
di barare sempre di più, al punto che l'incontro diventi finto, una rappresentazione
nella quale sembra che ci sia il confronto, la competizione...ma poi, in effetti, tutto è
sempre di più basato sul gesto di un Ronaldo che quando segna il gol fa il Redentore,
oppure di quell' altro che quando segna si copre la testa con la maglietta...Cioè uno
spettacolo...precostituito, esteriore, privo dell'elemento sport...Un circo...Si può
arrivare a questo?
Ma...si può arrivare da qualsiasi parte. Io mi auguro che non ci si arrivi, è ovvio.
Spero che ci siano tanti che la pensano come me, che fanno e gestiscono lo sport da
sportivi. E spero che faranno qualche cosa per farlo funzionare.
C'è Platini che dice una cosa; chissà se lei è d'accordo? A lui non piacciono
molti aspetti dell'evoluzione, o meglio dell'involuzione, attuale del gioco del calcio, e
dichiara: "Dopo il caso Bosman e la liberalizzazione del mercato dei calciatori
europei, il football è un mondo completamente e inevitabilmente stravolto dall'economia.
Un giocatore più gira da un club al'altro e più guadagna. Così è costretto a fare il
mercenario, in una stagione può cambiare anche tre società. Il calciatore, anche se è
il migliore, non è più il singolo di quella formazione. Ai miei tempi una squadra
vincente la si costruiva in tre quattro anni, ora bisogna fare tutto in tre quattro
mesi".
Ha ragione a dire che sono cambiati i lineamenti e che oggi la strada è quella. Mi
auguro che ci si accorga dei pericoli.
La profezia
E quindi si salverà, o no?
Se lo sport, e il calcio in particolare, è riuscito ad ottenere tanta popolarità, a
suscitare tanta passione, è perchè ha determinati valori che gli vengono riconosciuti.
Se la gente capirà che il calcio è diventato terreno di pascolo di chi ragiona dicendo
"vado nel calcio perchè lì ci sono i soldi", non credo che continuerà ad
appassionarsi. Andrà e seguirà lo sport e il calcio finchè riconoscerà che ci sono
quei certi valori. Quando si accorgerà che non ci sono più, mollerà lo sport; ed allora
anche coloro che oggi nello sport ci stanno per perseguire interessi finanziari, anche
quelli molleranno. Non lo so...forse a questo punto è meglio che scoppi tutto...così si
ricomincia da capo...Oppure...se strada facendo ci si accorge che c'è ancora qualche cosa
di buono...Ma quando vedo i bambini giocare in mezzo alla strada, quando vedo la gente
correre nei parchi, io penso che lo facciano per divertimento, per il gusto di farlo, non
per obbligo o perchè qualcuno li paga...a stare in mezzo alla strada o nei parchi.
Un allenatore che spera nel valore positivo dello sport dovrebbe aspirare ad avere
un ruolo continuativo all'interno di una determinata struttura societaria.
Ci sono delle regole, delle consuetudini, ed è normale che siano rispettate. Non è di
per se positivo che un allenatore rimanga molto tempo nello stesso posto (e lo stesso vale
per un giocatore), dipende dalle motivazioni. Le motivazioni sono la cosa più importante
nello sport...Certo, è normale, che finchè si sta in una società, in un certo posto, si
cerchi di fare meglio possibile per la società e per quelli che le sono vicino...
Ma l'affetto da parte di milioni di persone, può essere uno degli stimoli a
rimanere?
Anche qui bisogna saper distinguere. Nel calcio funziona così: una volta vinci e sei
il più bravo di tutti; la domenica dopo perdi e...ti vogliono cacciare tutti. Bisogna
cercare di trovare l'equilibrio e dare le valutazioni giuste. I tifosi sono molto
suscettibili...dipende da come soffia il vento...basta qualche giornata e...Di solito è
così.
Però, non può capitare che i tifosi, pur dopo un risultato negativo, escano dallo
stadio dicendo: "eppure mi sono divertito...la mia squadra ha giocato bene"? Non
può essere che il tifoso diventi un po' più sportivo di quanto non sia ora?
Be', io me lo auguro e cerco di fare del tutto perchè questo avvenga. Certo sarei
contento che la gente la pensasse così. Il punto non è tanto che la gente si leghi
affettivamente ad un allenatore. L'importante, l'obiettivo dell'allenatore, è farli
avvicinare, fare in modo che partecipino e...il modo è farli divertire, dir loro
qualcosa sul campo...il messaggio è la partita tecnicamente bella.
E la classifica?
I tifosi che soffrono...i laziali vivono secondo la classifica. Io non ho
questi problemi.
Non ho capito, che intende?
Si va su e giù e si vive su questo...io invece non vivo sul momento.
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